L’EDITORIALE: E’ stata indiscutibilmente una decisione storica. Voluta principalmente dagli Stati Uniti che avevano espresso da tempo la necessità per i Paesi membri dell’Alleanza Atlantica di contribuire economicamente e in maniera più efficace ed ampia alle spese militari necessarie alla efficienza della Nato e alle sue potenzialità di pronto intervento militare in sostegno di qualsivoglia Paese membro, minacciato da forze “estranee” all’Alleanza medesima. Richieste americane più volte ripetute e che mai, come in questi ultimi anni, erano divenute sempre più pressanti e urgenti, dopo l’invasione Russa dell’Ucraina e i venti di guerra in Medio Oriente.
Qualche rilievo avanzato dalla sola Spagna, per altro rientrata in fase di sottoscrizione dell’impegno dei Paesi dell’Alleanza Atlantica. L’aumento del “budget” per le spese per la difesa degli stati membri della Nato è dunque cosa fatta. E viene registrato l’incremento più cospicuo dai tempi della guerra fredda per contrastare il pericolo di attacchi militari, attacchi terroristici, ma anche cyber attacchi di potenze straniere contro i nostri sistemi informatici che si registrano sempre più frequentemente in tutte le capitali europee e che colpiscono indifferentemente siti militari e civili con disinvoltura disarmante.
L’attuale impegno dei Paesi Nato rispetto alle spese militari dell’Alleanza era fissato dal 2014 (a seguito della invasione Russa della Crimea) al 2% del PIL per ciascun paese. Ma questa dotazione finanziaria veniva considerata risibile soprattutto dagli Stati Uniti che si erano da sempre caricati i maggiori oneri economici di spesa militare, così come il maggior numero di uomini delle forze armate dispiegati sui teatri europei, dalle basi aeree in Sicilia al Baltico.
Un onere troppo gravoso per i bilanci americani sopportati per svariarti decenni e che, ora in avanti, saranno affiancati dall’incremento previsto con il nuovo protocollo sottoscritto all’Aja da ogni Paese dell’Alleanza in ragione del 5% del PIL.
Un importo che potrebbe essere considerato eccessivo per armare adeguatamente i Paesi Nato in un ipotetico attacco di paesi ostili. Ma, al contrario, solo il 3,5% di queste risorse finanziarie saranno destinati all’ammodernamento degli armamenti o all’acquisto di più efficaci sistemi d’arma per gli eserciti europei. Il restante 1,5% verrà riservato agli investimenti in termini di sicurezza, sia in campo civile che militare, (vedi attacchi cibernetici alle infrastrutture informatiche e difesa delle reti), così come investimenti strutturali nei singoli paesi in termini di nuove reti stradali, ponti, reti ferroviarie, utilizzate per fini militari ma anche e soprattutto civili.
Molto elastico sarà pure il criterio di spesa di questi aumenti del fabbisogno per la difesa. Ogni Paese avrà la possibilità di dilazionare, posticipare o incrementare, nei 10 anni previsti dall’Accordo, la spesa concordata, valutando di anno in anno le cifre che si vorranno o potranno investire. Tanto per garantire ai singoli stati di poter intervenire finanziariamente su accadimenti imprevisti o altre necessità contingenti.
Un accordo tutto sommato sopportabile dai Paesi membri dell’Alleanza Atlantica che garantisce maggior sicurezza e copertura militare all’Europa in un’epoca davvero complicata da interpretare politicamente. Un’epoca in cui la deterrenza militare è strumento indispensabile per evitare conflitti. E il nuovo accordo dell’Aja costituisce un elemento imprescindibile di maggior peso militare e di autonomia per l’ intera Europa, anche e soprattutto in ragione di un disimpegno sempre più evidente ed attuale degli USA rispetto agli scenari geopolitici tradizionali del Vecchio Continente.