Per Anna Lepre, Direttore del Centro Studi Lepre Group, i ritardi sul Pnrr non sono imputabili al Governo Meloni.

Con Draghi la tabella di marcia è stata rispettata, ora sembra ci siano difficoltà…

Ma non dipendono dal nuovo Esecutivo. Sostenerlo sarebbe ingeneroso. Ricordiamo che, al momento del passaggio da Mario Draghi a Giorgia Meloni, erano stati raggiunti soltanto 25 dei 55 obiettivi prefissati per la scadenza di fine 2022. 

Ma le accelerate del Premier in passato hanno fatto la differenza, non trova?

Era l’inizio del percorso, la fase della pianificazione, della stesura dei provvedimenti. Ora, man mano che si entra nel vivo, c’è da rispettare scadenze più concrete, perché connesse con la effettiva realizzazione degli interventi. Emanare ed espletare bandi, eseguire le opere, spendere insomma le risorse stanziate. E’ stato da sempre il punto debole delle nostre amministrazioni!

Allora ci dobbiamo rassegnare a perdere i soldi e sventolare bandiera bianca?

Tutt’altro! Trovo anzi convincente il proposito della Meloni di mettere mano, fin dagli inizi del prossimo anno, a una revisione delle procedure per renderle molto più veloci e recuperare il terreno perduto. Credo che Bruxelles, a fronte di impegni come questo, potrebbe concederci qualche mese in più. Solo in via temporanea, da recuperare successivamente come ho detto, e sulla base magari anche di una chiara assunzione di responsabilità dell’Esecutivo verso una rapida approvazione delle riforme strutturali collegate al Pnrr: dalla giustizia, al lavoro, al fisco, alla stessa pubblica amministrazione.

Come valuta la manovra di fine anno?

Innanzitutto, ritengo che sia proprio la necessità di porre attenzione alla Legge di Bilancio il fattore che giustifica qualche ritardo per il Pnrr. Ma, anche su questa operazione, penso che la valutazione, per essere ragionevole ed equilibrata, debba tenere conto della complessità del periodo che stiamo attraversando e delle poche settimane avute dal Governo per l’elaborazione del testo. In ogni caso, è da apprezzare la determinazione nell’evitare ulteriori squilibri di bilancio. Con il debito pubblico che ci ritroviamo, non potevamo proprio permetterceli.

Nessuna lacuna, dunque?

Un limite, e grave, sta nella quasi completa assenza di considerazione verso le esigenze del Mezzogiorno. Mancano gli incentivi per le Zes, non viene rinnovato il credito d’imposta per il Sud. La stessa decontribuzione resta in piedi, per ora, solo perché fatta rientrare in sede europea tra gli aiuti di Stato legati alla guerra. Ma anche qui non c’è alcun segnale che diventi strutturale, così come dovrebbe essere, se si vuole incentivare le imprese a investire nel Sud, pur in presenza di un divario infrastrutturale e di servizi.

Cosa si può fare per ribaltare il quadro?

La Legge di Bilancio, sotto questo profilo, può e deve essere modificata. E proprio il Presidente del Consiglio, che in più circostanze ha confermato la propria attenzione verso il Mezzogiorno, può monitorare la situazione, affiancando il Ministro Raffaele Fitto, che altrimenti rischia di trovarsi isolato. Perché è inutile negare l’evidenza: in alcuni ambienti politici si tarda a capire che dalla riduzione delle distanze tra Sud e Nord dipende il futuro del Paese. La politica dei due tempi, l’illusione di un Settentrione locomotiva che traini lo Stivale, è da riporre nella soffitta.

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