Non siamo in recessione. Il 2023 italiano si chiuderà per i più pessimisti (leggi Centro Studi Confindustria) con un +0,4%, per gli ottimisti (Unione Europea) con un +0,8%. Il prodotto interno lordo non calerà, insomma, ma non per questo possiamo permetterci di sorridere. Al di là dei cigni neri sempre incombenti, come le tensioni internazionali innescate dalla guerra in Ucraina, vi sono almeno due questioni sullo scacchiere europeo sulle quali il Governo e tutta la classe dirigente faranno bene a far sentire la propria voce, per potere, nel 2024, ritrovare la ripresa. La politica restrittiva della Banca centrale europea nelle sue fasi iniziali era un atto dovuto, per contrastare un’inflazione tornata dopo diversi decenni a due cifre. Il suo protrarsi, pur di fronte allo spauracchio della recessione, può tuttavia far morire il paziente che si intendeva curare, come argutamente ha sottolineato il leader della nostra associazione datoriale più rappresentativa. È necessario che, nel rispetto dei ruoli, si adoperi ogni forma di sensibilizzazione per evitare questa evoluzione paradossale. Le crisi ricorrenti degli istituti bancari, da Credit Suisse a Deutsche Bank, sono argomentazioni tangibili per consigliare maggiore moderazione. Altra materia del contendere è la politica energetica integralista perseguita in questi ultimi anni dall’Unione Europea. Il caso più recente è quello dell’auto green, prima con il divieto di commercializzare auto con motori termici dopo il 2035, poi con eccezioni fatte solo pro Germania, con deroghe per quelli alimentati da carburanti sintetici, ma non da biocarburanti, come chiesto dall’Italia. Non ci siamo, insomma. E le restrizioni Ue, come indicato, si vanno a sommare ad altre che stanno colpendo alcuni tra i settori più energivori dell’industria italiana, rischiando di infliggergli un colpo mortale. L’Europa può davvero pensare di liquidare il suo secondo paese per consistenza manifatturiera, impedendogli di produrre acciaio, carta, ceramica o chimica? L’interrogativo, posto in questi giorni da Alberto Marenghi, al momento, purtroppo, non è soltanto una domanda retorica. Vi è un ambientalismo ‘ideologico’, di cui è espressione il commissario europeo Timmermans, che va contrastato prima che possa produrre danni irreversibili per la sostenibilità sociale ed economica, non solo dell’Italia. Su questo punto, non ci sono contrapposizioni interne che tengano. Vi è un evidente interesse generale nazionale, che dovrebbe essere portato avanti in modo coeso dalla nostra classe politica, a ogni livello.