Il decreto Calderoli, pur facendo chiarezza sui tempi e sulle procedure da seguire, lascia ampi margini di incertezza sugli aspetti di merito, senza porre alcuna condizione per l’accesso all’autonomia differenziata. “Sarebbe invece consigliabile prevedere un’istruttoria per ciascuna materia (ed eventualmente per specifiche funzioni all’interno della materia considerata), suffragata da un’analisi basata su metodologie condivise, trasparenti e validate dal punto di vista scientifico, per valutare i vantaggi del decentramento rispetto allo status quo, sia per la Regione interessata sia per il resto del Paese”. A sostenerlo è la Banca d’Italia, intervenuta per chiedere maggiore tempo di riflessione e opportuni approfondimenti rispetto al progetto di riforma portato avanti dal Ministro leghista. È di fatto l’ultima autorevole voce critica di una lunga serie. Non solo politici meridionali, ma opinionisti, economisti, strutture tecniche parlamentari, organismi come Svimez, la stessa Confindustria hanno manifestato perplessità più o meno marcate su una ipotesi di rivolgimento istituzionale che potrebbe sconvolgere il Paese. La fretta è cattiva consigliera e il tentativo di giungere alla meta senza aprire quell’ampio dibattito pubblico e istituzionale che meriterebbe una rivoluzione del genere può davvero determinare sconquassi, se non si effettuano tutti i passaggi che il buonsenso impone. Al momento, tra i rischi che incombono c’è quello di arrivare allo svolgimento di un referendum che potrebbe spaccare letteralmente il Paese, tra Centro-Sud e Nord. Il tutto perché, al di là di quanto sostengono Zaia e Fontana, nessuno ha dimostrato che il trasferimento, alle Regioni del Nord che le richiedono, di competenze e di risorse non danneggi nel breve, e soprattutto nel medio e lungo termine, il resto d’Italia. Per non parlare della richiesta di svolgere su scala regionale anche funzioni strategiche, mentre su questioni come la sanità, l’energia, l’istruzione, il commercio con l’estero, la necessità di un coordinamento nazionale appare evidente. Altro che trasferire! Il declino italiano dopo la riforma costituzionale del Titolo V, con ulteriore aggravio del gap territoriale, è la dimostrazione di quanto improvvida sia stata quella svolta di inizio secolo. Non a caso, il Governo spinge per un’altra riforma, in direzione del presidenzialismo o di un premier eletto dal popolo, che dovrebbe accrescere i poteri dell’Esecutivo. Il contrario di quanto deriverebbe dalla realizzazione del progetto di autonomia differenziata.