Un autorevolissimo esperto di amministrazioni pubbliche, l’ex dirigente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Ercole Incalza, sostiene che, nella migliore delle ipotesi, pur con una ritrovata efficienza burocratica favorita dall’introduzione di procedure più snelle, entro la fine del 2026 si spenderanno circa 110 miliardi di euro, vale a dire la metà delle risorse disponibili tra Pnrr e Pnc. Se Incalza ha ragione, c’è da chiedersi cosa succederà per la parte non spesa. Bisognerà rinunciarvi? Ci saranno, al contrario, meccanismi di rinvio concordati in sede di Bruxelles, che consentiranno di derogare a norme annunciate, inizialmente, come assolutamente perentorie? Chi sottolinea come anche altri Paesi abbiano difficoltà nella tempistica di utilizzo dei fondi ricevuti sulla base di Next Generation Eu, dimentica il dato fondamentale: l’Italia ha avuto di gran lunga l’assegno più sostanzioso, tra contributi a fondo perduto e prestiti. Per gli altri, insomma, il danno di una mancata spendita nei tempi previsti sarebbe considerevolmente minore. Crediamo necessario che, fin d’ora, il Governo Meloni non solo monitori con la massima efficacia la gestione delle risorse, ma avvii anche una trattativa pressante con l’Unione Europea, non limitata solo a cambiare qualche pezzo di Pnrr, ma orientata a prolungare la deadline del 2026. Non abbiamo la possibilità di confrontare l’attuale esecutivo con quello precedente sulla partita specifica del Pnrr. È tuttavia evidente che se, per assurdo, il Governo Draghi avesse continuato il suo percorso oltre la legislatura giungendo al 2026, non avrebbe potuto scaricare su altri eventuali fallimenti.  Chi governa a metà può sempre dire che gli è stato impedito di dimostrare le proprie capacità, così come chi subentra può imputare al predecessore di avere fallito l’impostazione di una pianificazione strategica, tipo quella del Pnrr. Questa vicenda basta da sola a spiegare perché sono necessarie riforme istituzionali che diano più forza e allunghino la durata media dei governi. Calibrandole certo nella maniera giusta, rispettando equilibri di poteri che garantiscano la democrazia, ma vanno realizzate! Bisogna anche mettere in condizione i burocrati di fare il loro mestiere. Se un asso come Incalza è stato inquisito una quindicina di volte, ottenendo alla fine altrettanti proscioglimenti, qualche domanda al riguardo dovremo pur farcela. Altrimenti continueranno ad avere ragione quei dirigenti che non muovono una foglia, per il cosiddetto terrore della firma.