Una cosa è il trend, altra è la situazione presente. Bisogna considerarlo, quando si registrano dati come quelli diffusi dal Centro Studi Tagliacarne e da Svimez nei giorni scorsi. Nello specifico, parliamo di bioeconomia, ossia di utilizzo, ai fini produttivi, di risorse biologiche rinnovabili di prima e di seconda generazione. In pratica, si tratta di una espressione importante di quel nuovo modello di sviluppo che è dato dall’economia circolare, destinato inevitabilmente a soppiantare il modello lineare, non più gestibile, perché autodistruttivo per il pianeta.

Ebbene, sulla base dell’indagine Tagliacarne-Svimez, il 23,6% delle imprese del Mezzogiorno è bio, ovvero usa scarti nel processo di produzione, a fronte di un 19,7% delle imprese del Centro-Nord.

Se, tuttavia, si guarda al fatturato dell’impresa bio meridionale, si riscontra che il valore, pari a circa 25 miliardi di euro, è pari a neppure un quarto del totale nazionale (24%). La percentuale, insomma, è sottodimensionata rispetto alle potenzialità teoriche di un territorio in cui risiede circa un terzo della popolazione.

Il divario, naturalmente, è collegato a una base produttiva imprenditoriale che, nel Mezzogiorno, è largamente inferiore soprattutto a quella del Nord del Paese. Ma, ciò malgrado, il report Tagliacarne-Svimez evidenzia, in prospettiva, una condizione confortante per le prospettive delle aziende meridionali. In particolare per la Campania, che raggruppa il 40% delle imprese biotech del Sud.

Le imprese della bioeconomia investono nella transizione digitale ed energetica in percentuale quasi doppia rispetto alla media (63,2% contro 35,5% delle non bio). L’incidenza percentuale più elevata del biotech nel Mezzogiorno, quindi, fa ben sperare sulla possibilità che il Sud recuperi terreno nel corso della fase di riassetto epocale che sta caratterizzando l’economia a livello mondiale.

La quantità di segnali su una progressiva crescita, qualitativa e quantitativa, delle imprese del Sud fa ritenere che la grande sfida del rilancio economico possa puntare con fiducia su questo pilastro fondamentale dello sviluppo. 

Quella che continua a preoccupare è la lentezza con cui le istituzioni accompagnano queste positive tendenze. Bisognerebbe premere sull’acceleratore per le infrastrutture e per i servizi, per la Zes unica e per gli incentivi volti a promuovere sviluppo industriale al Sud, attirando anche capitali esteri. Al momento, gli indicatori fanno temere che sarà l’ennesima occasione sprecata. C’è ancora tempo, poco ma c’è, per evitare un clamoroso autogol.