Di Zone economiche speciali si è parlato per anni, senza che si registrassero dei risultati concreti. Con la nomina dei commissari e soprattutto con l’apertura di sportelli unici che riducono da 34 a una le autorizzazioni necessarie per l’avvio di un’attività, è cambiato il quadro. E i numeri dicono che si è addirittura ribaltato. Le Zes sono otto, localizzate in Abruzzo, Campania, Puglia e Molise, Puglia e Basilicata, Calabria, Sicilia occidentale, Sicilia orientale e Sardegna. La Puglia, come si vede, condivide due Zes, una col Molise e l’altra con la Basilicata. In totale, finora, sono state approvate 43 iniziative, poco meno di un decimo delle richieste presentate, che ammontano a 412. Ma molte di queste domande sono in istruttoria e potrebbero sfociare presto in nuovi investimenti. Si può utilizzare senza timori l’avverbio ‘presto’, visti i tempi straordinariamente contenuti che caratterizzano le procedure. La Campania, ad esempio, regione leader, con il Commissario Giosuè Romano ha approvato già 16 investimenti per complessivi 120 milioni. E, sul piano materiale, se ne cominciano anche a vedere gli effetti. Basta pensare alla recente apertura del nuovo centro di stoccaggio e distribuzione di Farvima Medicinali Spa, nell’Interporto di Nola, mentre anche la multinazionale Novartis farmaceutica ha colto l’occasione Zes per presentare una domanda (in attesa di approvazione) di ampliamento della sua storica e fondamentale presenza nella regione, a Torre Annunziata. Per limitarci all’altra regione meridionale più industrializzata, nelle due Zes condivise dalla Puglia sono stati autorizzati 14 investimenti. Non si tratta solo di imprenditori nazionali, come il romagnolo Vescovini che ha realizzato un nuovo stabilimento industriale ad Acerra. Si preparano a insediarsi nel Sud anche holding americane. Si è, tra l’altro, soltanto all’inizio di un fenomeno che potrebbe assumere il significato di una piccola rivoluzione positiva per rafforzare la struttura produttiva e aumentare l’occupazione nel Meridione. E’ fondamentale che lo Stato e le Regioni assecondino e accompagnino il più possibile, senza interferenze ma intervenendo per sbrogliare eventuali nodi e colli di bottiglia, l’esplicarsi di uno strumento di sviluppo che, finalmente, sembra avere imboccato la strada giusta e, se supportato da altri interventi finalizzati a ridurre il gap di infrastrutture e servizi, può contribuire a cambiare il volto del nostro Mezzogiorno.