Chi governa deve avere vista lunga. Se ci fermassimo ai dati attuali, le imprese under 35 in Campania costituirebbero un primato. Rappresentano infatti l’11,3% del totale regionale, una percentuale largamente superiore alla media nazionale, che si ferma all’8,7%. Ma se si raffronta il presente con il passato, affiorano le preoccupazioni. Rispetto al 2019, nel 2022 in Campania le imprese guidate da giovani sono infatti diminuite del 9,2%. Un’ecatombe! Il fenomeno della decrescita delle aziende junior è comune a tutta l’Italia, ma nella regione ha assunto ritmi vertiginosi. Basti pensare che in Lombardia il calo si è limitato al 2%, in Emilia Romagna e in Piemonte non è andato oltre l’1,5%, mentre più accentuato, ma non ai livelli campani, è risultato in Veneto (-3,1%) e in Liguria (-4,7%). Paragonabili al crollo campano sono solo altre regioni del Sud, come Sicilia (-11,8%), Calabria (-13%) e Molise (-16,5%). La Campania, dunque, resta la seconda regione d’Italia per numero di imprese under 35, mentre Napoli mantiene per ora saldamente il terzo posto assoluto tra le città, preceduta solo da Roma e Milano. Eppure, c’è da chiedersi come arginare un decremento così vistoso. Un fenomeno, si badi bene, che non può essere giudicato solo in ragione del calo demografico, non solo perché la Campania resta la regione più giovane d’Italia, ma anche e proprio perché questo motivo non potrebbe giustificare una differenza così vistosa con altre aree del Paese.  Un fattore determinante è sicuramente la maggiore solidità nel tempo delle imprese giovanili nate nelle zone con un tessuto produttivo più forte. La cessazione di attività di tante aziende under 35 nel Sud spiega insomma per buona parte la diminuzione dell’incidenza di tale tipologia d’impresa sul totale complessivo delle relative regioni. E’ noto come la fase di startup, quella dei primi anni, sia decisiva per la sopravvivenza per un congruo periodo di tempo delle attività avviate. A favorire la chiusura delle imprese giovanili del Sud contribuisce inoltre il perdurare di un’emigrazione intellettuale che, evidentemente, spesso comporta anche l’abbandono di un’idea imprenditoriale per abbracciare la prospettiva del lavoro dipendente nel Centro-Nord o all’estero o, magari, per delocalizzare l’attività in zone dove ci siano servizi più attrezzati e amministrazioni più efficienti. Al Governo e alle istituzioni locali il compito di dare risposte efficaci per invertire una tendenza che, nel medio-lungo termine, rischia di essere letale per le prospettive di crescita del Mezzogiorno.