L’Istat, con il focus “La politica di coesione e il Mezzogiorno, vent’anni di mancata convergenza”, ha ribadito un dato paradossale. Ci sono fondi europei destinati a far recuperare posizioni alle aree svantaggiate. In Italia queste risorse non ottengono l’effetto desiderato. La Campania, ad esempio, nel 2000 occupava il posto numero 165 tra le 242 regioni o territori europei per pil pro capite. Nel 2021 in classifica è scivolata al numero 201. Come interpretare questo crollo, visto che nel frattempo sono stati gestiti tre cicli di fondi strutturali? Qualcuno potrebbe guardare al ‘dito’, ovvero ai fondi. Esecrandoli, demonizzandoli, indicandoli come un impulso al non fare, al vivere di assistenza, di risorse altrui. Significherebbe trascurare la ‘trave’, ossia le vere cause del declino della regione, ma anche dell’intero Paese. Già, perché la stessa rilevazione Istat aggiunge che, nel 2000, tra le prime cinquanta regioni per pil pro capite c’erano dieci italiane. Nel 2021, tra le top cinquanta sono rimaste solo la Lombardia, la piccola Valle d’Aosta e le province di Trento e Bolzano. Quindi i fondi strutturali c’entrano come i cavoli a merenda. Una cosa è dire che c’è un sistema Paese inefficiente, altra che il problema riguardi l’utilizzo (erroneo) o addirittura la stessa disponibilità (il denaro, si sa, è lo sterco del diavolo!) dei fondi Ue. Fondi che, si badi bene, costituiscono una restituzione parziale di quanto il Paese ha stanziato per la sua presenza nell’Unione, non certo un regalo di Bruxelles. La spiegazione più logica del declino italiano sta nelle politiche varate negli scorsi anni, troppo incentrate su una pretesa capacità del Nord di fare da traino per tutta la Penisola. La verità è che il Nord è saturo, ci sono spazi limitati per nuovi insediamenti produttivi, ha tassi di occupazione in media con quelli europei. È sul Sud che bisogna puntare per rimettere in moto l’Italia. Si è fatto il contrario. I fondi europei dovevano aggiungersi a quelli nazionali. Non è stato fatto, sono stati utilizzati come sostitutivi. Non lo dice chi scrive, lo ha affermato nel 2019 il direttore della Dg Politiche regionali europee Marc Lemaitre, ammonendo l’Italia a cambiare registro. La svolta finora non c’è stata, ma ora il Pnrr potrebbe facilitarla. Sarebbe fondamentale, anche per rilanciare un Paese nelle relazioni con le altre aree del Mediterraneo, riducendo l’impatto della crisi tedesca, con conseguenze negative già riscontrate per la nostra produzione industriale e per il nostro export.