I dati dell’Inps parlano chiaro. Dal 2012 al 2022 la Campania ha perso 8.384 imprese artigiane: si è passati da 83.635 a 75.251 unità. La diminuzione è stata di circa il 10%. Ma questa forte flessione è stata più contenuta, rispetto a quanto accaduto su scala nazionale. Nel Nord, la Lombardia ha perso il 24,3%, il Piemonte il 21,4%. Nel Centro, le Marche hanno pagato in termini di 21,6 punti percentuali.

Non solo. Napoli provincia si è dimostrata particolarmente resiliente, con una diminuzione di appena il 2,7%, seconda solo a Bolzano, che ha limitato i danni al 2,3%.

La Campania, insomma, e ancora di più Napoli, hanno dimostrato che il tessuto di imprese artigiane, pur in un periodo di congiuntura sfavorevole, ha requisiti tali, dalla grande tradizione manuale all’eccellenza assoluta di alcune produzioni (dall’oreficeria alla ceramica), da consentire di fronteggiare meglio la crisi.

È ancora possibile il rilancio. Bisogna puntare soprattutto sul ricambio generazionale, incentivando i giovani a impegnarsi per rinnovare il Made in Naples, e rimborsando i maestri artigiani per le spese di formazione, incluso il tempo dedicatovi. Lo Stato se ne faccia carico: sarà un investimento per il futuro, perché porrà le premesse per un’espansione di attività che da sempre hanno contribuito al successo dell’impresa, a Napoli e in Campania, come in tante altre aree del Mezzogiorno e dell’Italia intera.